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  • @notizie A me sembra che, almeno per la lingua italiana, il cambio di passo non sia mai avvenuto. A parte gli estremismi politici e la retorica anti-GAFAM, non c’è praticamente nulla che possa spingere un utente medio ad accasarsi nel Fediverso. Mancano le condizioni per creare massa critica, mancano il “Ritrova i tuoi amici del liceo” del primo Facebook ma anche il “Segui ogni starnuto del tuo VIP preferito” del fu Twitter e di Instagram.
    In lingua inglese, per ovvie ragioni di scala, le cose forse vanno meglio ed è relativamente più semplice costruire reti personali che non siano bolle minuscole.

    In questo senso dare la colpa a mastodon.social rischia di essere solo un alibi. Gli utenti italiani su mastodon.social sono davvero pochi. Più che altro mi chiedo se non siano più le “faide” interne tra le diverse istanze italiane e le politiche di moderazione tutt’altro che trasparenti a danneggiare l’intera federazione.





  • @notizie

    A questo proposito, hai mai provato a pensare che se il legislatore italiano o europeo, solitamente sempre prodighi di nuove produzioni normative, siano state rallentate dall’ncessante attività di lobby delle bigtech?

    È estremamente probabile. Ma è così praticamente su ogni cosa. Possiamo escludere che il green new deal non sia stato spinto dalle società (e dagli stati) che ne trarranno i massimi benefici economici? Possiamo escludere che la politica dei bonus a pioggia della scorsa legislatura non sia stata agevolata da gruppi di interesse in se molto piccoli ma ben introdotti?

    Non scopriamo nulla di nuovo. È uno dei limiti quasi inevitabili di ogni forma di governo che prevede una qualche forma di intermediazione. Però il dato di fondo rimane. Con le leggi attuali i social non hanno obblighi come l’equi-visibilità. Così come Trenitalia non è obbligata a fornire lo stesso servizio in prima o in seconda classe.

    Che i social non siano gratis è vero. Come ho scritto altrove, gratis in questo caso va inteso come “non si paga in moneta”. Ma anche qui è lo stesso principio delle free mail. Eppure non vedo grandi crociate contro l’uso di Gmail nonostante le informazioni che transito per la posta elettronica possano essere molto più sensibili e riservate di quelle veicolate su un social. Ed è lo stesso di free OS come Android che raccolgono quantità impressionanti di dati personali. Ma neanche in questo caso vedo grandi movimenti per adottare dumbphone. Ed ancora, neppure un motore di ricerca è gratis però non vedo nessuno che ne chieda la messa al bando.

    L’impressione è che continui a girare un modello semplificato per cui alcune realtà vengono costantemente descritte come “malefiche” mentre per altre -del tutto analoghe a livello operativo- si sceglie sempre un tono assolutorio o quantomeno di minimizzazione. Ed è qualcosa di molto diffuso anche a livello accademico. Ricordo ancora bene quando in Internet 2004 (Laterza) le implicazioni sulla privacy del modello commerciale di Google venivano liquidate in due righe dicendo semplicemente che non c’erano motivi per preoccuparsi.

    Concludendo, le questioni che pongo spesso riguardano questa mancata visione di insieme; questo guardare il singolo dettaglio e trascurare tutto il resto; questo gioco di tifoserie per cui se a dominare il mercato è una società di cui mi fido va tutto bene mentre in caso contrario scatta la chiamata alla mobilitazione. Ecco, è questo che mi irrigidisce anche difronte a posizioni sulle quali non avrei problemi a convergere.