Le classifiche delle migliori università del mondo lasciano il tempo che trovano

@universitaly

Periodicamente ottengono grandi attenzioni, e l’Italia sembra sempre arrancare, ma non è chiaro a chi servano veramente

Nonostante l’indubbia attenzione che ottengono, però, queste classifiche sono da anni molto criticate. Un po’ perché si basano su criteri arbitrari, che riflettono poco la moltitudine di ruoli sociali e culturali che le università svolgono sul territorio. Un po’ perché sono progettate quasi sempre sulla base del sistema d’istruzione inglese e statunitense, che riflette male come funzionano le università nel resto del mondo. Un po’, semplicemente, perché non è chiaro a cosa servano, se non a indirizzare attenzione e fondi verso le società che le stilano e le università che figurano ai primi posti.

L’articolo di @violastefanello è qui su Il Post

  • ConstipatedWatson@lemmy.world
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    9 months ago

    Articolo interessante e documentato. Purtroppo queste classifiche sono imperfette e parziali (visto che il loro interesse è fare soldi e che offrono “servizi per migliorare” la propria posizione in classifica), ma allo stesso tempo danno alcune idee su come valutare un ateneo, seppur in modo lacunoso. È problematico che siano diventate così potenti da spingere le università a fare uffici pubbliche relazioni che continuamente comunichino salite e discese di posizione e che gli atenei cerchino di spingere per aumento di statistiche, potenzialmente distorcendo il normale fluire delle operazioni interne, tipo pubblicare di più piuttosto che pubblicare meglio.

    • poliversity@poliverso.orgOP
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      9 months ago

      @ConstipatedWatson In effetti si tratta di un fenomeno assolutamente normale.
      In primo luogo, sistema di misurazione incide sempre sull’oggetto della misurazione.
      Inoltre, come se non bastasse, è un principio base della società quello per cui, date certe regole del gioco, chiunque riesca a interpretarle meglio o chiunque ne individui i punti deboli, si trova a ottenere un vantaggio competitivo nei confronti degli altri.

      L’ambiente universitario è oggettivamente una fucina di hacker: tra studee che cercano di ottenere il voto più alto studiando il meno possibile, ricercatori che “aiutano” la riuscita degli esperimenti, docenti che liberano la loro fantasia per conseguire assegni di ricerca, funzionari amministrativi che [beh, qui meglio fermarsi per evitare denunce…], non è così strano pensare che abbiano potuto hackerare dei semplici test… 😁

      • sudneo@mastodon.uno
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        9 months ago

        @poliversity @ConstipatedWatson non credo neanche che ci sia bisogno di hackerare nulla. Le metriche scelte per dare giudizi basati sui dati diventano anziché proxy di altro (qualità dell’ateneo), il fine stesso delle azioni di chi viene misurato. Questo fenomeno, specie nell’ambito delle scuole, è spiegato egregiamente (a mio avviso) in Weapons of Math Destruction (non so come è tradotto in Italiano).

        • ConstipatedWatson@lemmy.world
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          9 months ago

          Credo di aver già sentito del libro Weapons of Math Destruction prima di adesso, ma lo avevo completamente dimenticato. Molto interessante! Questo fenomeno di influenza è quindi anche stato studiato in dettaglio (non sorprendente che lo sia, ma me ne ero dimenticato).

      • ConstipatedWatson@lemmy.world
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        9 months ago

        Fantastico modo di pensare! In effetti è proprio vero: gli osservatori influenzano ciò che osservano in questo caso e come l’hai scritto tu è perfetto.

        È deprimente allo stesso modo che qualcosa che teoricamente sarebbe interessante (statistiche delle università a priori sarebbero anche cose utili) finisca per essere una forte fonte di influenza degli studenti e delle università. I fini di queste agenzie di classifiche non sono nobili…