Ciao a tutti. Sono uno dei creatori di questo neonato collettivo culturale “L’Inceneritore”, dedicato alla letteratura, alle arti visive ed alla contemporaneità. Il progetto è stato partorito un gruppo di artisti e scrittori e si rivolge ad altri artisti e scrittori, che condividano i punti del manifesto che posto qui sotto. Il progetto è costantemente in divenire, pertanto se avete delle velleità letterarie o artistiche, e vi ritrovate con quanto scritto o qualche opera visuale, siete i benvenuti a prendere parte a questo progetto, senza alcun tipo di impegno.
Di seguito, il nostro manifesto integrale (scritto a più mani) su cui mi piacerebbe far nascere una dibattito.
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Il paradigma culturale dominante ci ha assuefatti alla violenza del consumo e ci ha indotti a pensare che niente possa più essere creato. Con il paterno istinto di generare vita fra le mani, noi, sterili padri senza prole, aride sagome senza volto, ci arroghiamo il diritto di accelerare verso l’ignoto, istantanei come degli impulsi elettrici.
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Siamo spiriti impazziti, trasparenti e disillusi, incarcerati in un convulso aggrovigliamento di geometrie immateriali. Siamo mine vaganti senza un motivo per esplodere, senza una traiettoria, senza speme. Rinunciamo dunque alle mappe ed al passato. Vivremo ogni giornata con la stessa sincerità di un flusso di coscienza, accogliendo l’insensatezza di contorno.
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La primordialità dell’atto creativo lenisce l’assurdità dell’esistenza. La creazione è il fine ultimo, in quanto ci riavvicina al Dio che abbiamo perso.
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Siamo ricoperti di polvere e pertanto ogni facezia metafisica ed immateriale è da considerarsi un’anomalia da estirpare.
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Ogni giorno siamo sommersi da uno tsunami di informazioni e di possibilità: paradossalmente la nostra capacità di agire e di scegliere ne viene menomata. Accogliamo la necessità di una sana ignoranza, e la potenza benevola dell’illusione, come l’unico antidoto purificatore che ci permetta di riappropriarci della nostra capacità di generare. Solo in questo modo torneremo padroni delle nostre creazioni.
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Nel nuovo mondo, il concetto di identità è un concetto fragile. Per certi versi potremmo dire che è un concetto del tutto in via di estinzione: l’identità si è liquefatta. Sputiamo in faccia ai manichini di plastica che ci vengono presentati come ideali da seguire.
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Che la tecnica torni a servire l’uomo. Quest’ultimo ha l’obbligo di rivoltarsi al sigillo che essa ha impresso sul suo capo. La società della tecnica, una bolgia iper-industrializzata, ha prodotto un enorme esercito di lavoratori anonimi il cui unico fine é quello di riprodurre in serie il frutto del concepimento altrui. Questo contesto spinoso ci spinge all’abiura dell’originalità e ci condanna ad una vita di frustrazione. Allora noi decretiamo, qui ed ora, la morte della Cover, della riproduzione forzata e del rimpianto. Combatteremo per andare oltre, polverizzando ogni ostacolo, o quantomeno illudendoci di starlo facendo.
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L’industria culturale di massa deve essere annientata, nella sua interezza.
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In quest’epoca dove il marketing determina interamente la diffusione delle opere, i germogli che non sono stati in grado di sbocciare nel panorama culturale ordinario sono il vero tesoro che merita la nostra attenzione. Volgeremo il nostro sguardo verso i meandri del sottosuolo, al dì sotto della superficie, un luogo accessibile solo alle anime più ardite.
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Noi ci serviremo dell’impeto comunicativo di Internet, e della brutalità dell’innovazione tecnologica, per sottrarre ogni centimetro di terreno alla catena di montaggio dell’arte.
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Dichiariamo apertamente guerra a tutte le piovre come Google, Meta, Microsoft, Adobe e tutte le altre creature senza patria che tentano imperterrite di allignare i loro viscidi tentacoli nel libero oceano del Web.
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Ben vengano i pappagalli stocastici, purché non ci esproprino della nostra carne.
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Noi non viviamo in una dimensione temporale. Ci serviamo della lama del ripudio e dello sprezzo contro tutti gli -ismi e contro tutte le etichette appiccicose. Indosseremo con orgoglio i panni dell’ultima compagna per mietere ed incenerire il passato, il presente ed il futuro!
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Non lasceremo che la nostra volontà d’azione e di fare venga mutilata dalla maledizione del già visto. Imprigionati tra i confini dell’impossibilità di innovare, ci abbandoneremo all’estasi della sperimentazione libera ed alla imperterrita ricerca di nuove forme estetiche ed espressive.
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L’Antropocene è l’era della crisi. La nostra carne, o quel che ne rimane, è imputridita dalla plastica, che galleggia nel nostro sangue. Si intravede chiaro all’orizzonte l’indifferibile necessità di non abbandonarci passivamente alle nefaste conseguenze del cambiamento climatico, di origine antropica.
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Viviamo nell’epoca dell’immagine. Nella nostra nazione, le statistiche evidenziano un chiaro e ripido declino del numero annuale di lettori. Non vogliamo che la letteratura diventi una forma d’arte ad appannaggio dell’elité e pertanto ci prefiggiamo quantomeno di cercare di invertire questa tendenza, nel nostro piccolo.
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Noi crediamo fermamente che la poesia non sia mai realmente morta, bensì essa si è soltanto dissimulata negli anfratti dei nuovi media. La nostra poesia sarà caratterizzata dalla disillusione, dal paradosso, dall’assurdo, dal paradosso dell’assurdo.